La vittoriosa Contrada della Selva
Uno scultore – orefice per la vittoria della Contrada della Selva al Palio di Siena
Paolo Penko, La vittoriosa Contrada della Selva, bassorilievo per la vittoria della Contrada della Selva al Palio di Siena del 16 agosto 2006;opera in bronzo patinato realizzata a fusione a terra, lavorata e cesellata a mano secondo l’antica tradizione rinascimentale, cm 56×47, fonderia Montagna -Campi Bisenzio, Firenze-, 2007; donazione dell’autore alla Contrada della Selva, Museo della Contrada della Selva, Siena.
Chi è nato e vive in questa felice parte d’Italia non può certo affermare di non aver avuto insegnamenti preziosi. I maestri di Paolo Penko, artista fiorentino-senese, sono stati l’ordine che innerva di melodioso splendore le colline del Chianti, i colori che assumono i mattoni di Siena e le pietre di Firenze quando li tocca il sole d’estate, la misura delle torri, delle chiese, delle case coloniche, la luce che scende dal cielo di Toscana e rende perfette le cose visibili come se le sfiorasse l’occhio di Dio. Maestra di Penko è stata l’aura di una regione dove il “fare arte”e “l’essere arte” entrano nel sangue per osmosi e finiscono col diventare, per antico tramando e con assoluta naturalezza, un carattere distintivo.
Maestro di Penko è stato anche il mestiere, il paziente mestiere dell’orafo che insegna -Benvenuto Cellini, maestro di tutti gli orafi, lo aveva capito benissimo- due cose fondamentali: la bellezza della materia e la necessità della forma. La materia è bella sempre, sia che si tratti di oro, di argento o di bronzo e va trattata con amore, con rispetto e senza sprechi. La forma è indispensabile, perché è la sua “necessità”, il suo imperioso dominio a dare ordine e significato al fantasma estetico.
E questi due elementi Penko li ha compresi, per non dimenticarli mai, fin da quando studiava all’Istituto d’Arte di Porta Romana a Firenze e mostrava particolare attenzione verso le tradizioni culturali medioevali e rinascimentali della città di Siena, la cui conoscenza è stata basilare per la sua formazione e la sua crescita artistica.
Ed è a Siena, come è noto, che un’arte eccelsa come quella orafa ha dato prova di splendidi manufatti che hanno saputo gareggiare con le cosiddette arti maggiori. Già agli esordi della sua arte, Penko si è distinto nel riproporre, rinnovandole, le tecniche sperimentate sin dai secoli XII e XIII dai maestri orafi fiorentini e senesi.
Arriveranno poi, nel lento sagace percorso dell’orafo-scultore, le personali assimilazioni dalla cultura plastico-figurativa toscana, che nel Novecento ha anche offerto le sue firme prestigiose per la medaglistica: da Mario Moschi ad Alberto Sani, da Bino Bini a Bruno Buracchini. Tuttavia Penko non abbassa mai la guardia, non trascura mai la consapevolezza del mestiere, l’orgoglio della sapienza artigiana e le sue radici fiorentine e senesi. Il senso dell’anima dei popoli, in ogni tempo, si è rivelato nei rituali, sacri e popolari, e nelle arti; se questo ai nostri giorni è assente in vasti territori, Siena conserva e custodisce gelosamente tali nobili tradizioni.
Ma quali sono i rapporti dell’arte con gli uomini? La fede, l’amore e l’arte, in uno sforzo corale, danno all’uomo una ragione: quella del suo essere. L’artista autentico è colui che non evade la vita, ma piuttosto la invade. L’arte infatti non è evasione dalla vita, l’artista la aggredisce con i suoi mezzi da ogni lato e crea, in queste sue indagini profonde, cose vive quanto la vita.
L’arte ha il compito di perpetuare gli attimi vivi di percezione delle cose, conoscendo i segreti per allungarli e per estenderli a tutti. L’arte insomma è la possibilità di colloquiare. L’artista è un “sismografo” che sente, che avverte con anticipo. Il suo atto è un atto di cui beneficiamo ad onta di tutto.
L’inserimento nel vivo della vita degli uomini, con la sua opera, avviene per Penko in modo naturale. Vediamo l’artista, nella pienezza della maturità professionale di orafo, rendere omaggio alla volontà dei contradaioli della Selva di Siena di celebrare la loro vittoria al Palio dell’Assunta del 2006 (*).
L’orafo-scultore, che solitamente lavora l’oro e l’argento, dando ad essi caratteri sovente attinenti all’arte scultorea, progetta per la Selva un monumento vero e proprio nelle dimensioni e nella materia: un bassorilievo in bronzo con cui riesce, senza divagazioni superflue, non solo a celebrare la vittoria ma, soprattutto, a raccontare la storia del Palio del 16 agosto del 2006.
Ed è doveroso, in questo caso, rilevare che Paolo Penko è fiorentino ma di madre senese, particolarmente legata alla Contrada della Selva, e, quindi, la vittoria del Palio dell’Assunta è anche sua: molte estati della sua infanzia e della sua adolescenza sono state trascorse dall’artista in questa Contrada, presso i nonni e gli zii. Ha dunque vissuto e condiviso, negli anni, con tutto “il Popolo della Selva”, le passioni, le gioie, le emozioni e anche le delusioni. Pertanto, egli non poteva non partecipare al grande trionfo del 2006 e lo ha fatto a modo suo, da orefice-scultore, donando alla “sua Contrada”, a conclusione di un anno di festeggiamenti per la vittoria conquistata sul campo, una scultura commemorativa.
Come ha fatto Penko a tenere la rotta, lavorando nel suo laboratorio fiorentino? In che modo ha potuto non colare a picco fra le suggestioni insidiose del citazionismo e dell’iperrealismo? La risposta è tutta in una semplice tautologia. L’artista è riuscito ad essere scultore, vincendo gli azzardi e superando le insidie, perché è nato orafo e insieme scultore, perché per lui la scultura è una necessità ed è, in questo caso, l’unico mezzo espressivo comprensibile e praticabile. È bello obbedire ad una vocazione, essere nella vita e nel lavoro quello che si vuole essere. Paolo Penko, figlio di una tradizione vitale e profonda come quella Toscana, nell’estate del 2007, ne offre una bellissima dimostrazione.
L’artista con il bronzo La vittoriosa Contrada della Selva ha saputo comunicare l’espressione degli stati ideali ed emozionali dei contradaioli vincitori. Come si arriva al profondo dell’uomo? Raccontando la storia dell’uomo. E Penko ha capito che qui risiede il deposito di ogni autentica vitalità, il serbatoio di ogni riserva umana. Ecco l’invasione nella vita a cui si faceva riferimento, ecco la scoperta di un segreto semplice e solenne.
Il tema è magico e reale, tanto antico quanto attuale, vivo nella mente e nei cuori dei contradaioli della Selva. In questo monumento per la vittoria della Contrada ci sono dentro la storia e le sue tradizioni, ma ancor di più vi sono le emozioni che accompagnano il Palio a Siena, che si corre due volte l’anno ma che è vissuto, come i senesi -e con essi Penko- ben sanno, ogni giorno della vita. Vi è nella scultura bronzea tutta la Contrada della Selva, nella completezza della sua storia. Nel rilievo, dalle bandiere al vento si alzano le mani forti, vibranti dei contradaioli rivolte verso l’alto a toccare il drappellone vinto, che sventola al centro della composizione. L’artista ha forgiato nel bronzo il Palio dipinto da Tino Stefanoni dove sono raffigurate la Torre del Mangia poggiata sulla Balzana, elemento di collegamento fra terra e cielo, e la Madonna Assunta, alla quale è dedicato il Palio d’agosto, la cui luce illumina e protegge Siena e in particolare la Contrada della Selva di cui ella è patrona. Nell’opera di Penko le mani alzate divengono preghiera, gesto fortemente simbolico di ringraziamento per il trionfo tanto atteso.
Il bronzo è plasmato in un urlo vittorioso di gesti, di sentimenti, di atti d’amore. Penko lavora il rilievo senza passaggi meccanici, segna nervosi colpi con il cesello direttamente sull’opera. Mantiene perciò fresca la sua intuizione, non lascia luogo a perplessità di sorta: la scultura nasce dal palpito del fuoco, sembra gareggiare con i monumenti collocati in grandi spazi. Per questa via la materia si sveste del suo peso materiale, diventa respiro, calore, umore.
Il rilievo possiede un carattere severo. Non c’è posto per leziosità, per ornamenti decorativi. Vi sono, invece, la forza, il sacrificio e l’amore che hanno portato il fantino Salasso e il cavallo Caro Amico alla vittoria. Il fantino, il cui soprannome campeggia su di una sventolante bandiera, e il cavallo, il cui nome è inciso sulla “terra di Siena”, sono ritratti dallo scultore nell’attimo in cui “entrambi” si rendono conto di avere la vittoria “in pugno”. Le immagini dei due eroi si stagliano modulate, qua e là, da riferimenti artistici ed araldici della Contrada vincitrice – come le rigogliose foglie di quercia sullo sfondo e il rinoceronte che ammicca a sinistra- e della città di Siena con la sua cattedrale -dove la Contrada si reca, subito dopo la vittoria, portando in trionfo il Palio all’altar maggiore -, alla quale si fa riferimento con le raffinate colonne sulla destra dell’opera, in cui l’artista ha inciso la data della vittoria: “16 agosto 2006”. Ed altre bandiere recano i nomi di Velio Cini e di Alessandro Barabino Zondadari, rispettivamente Priore e Capitano della Contrada della Selva.
Paolo Penko ha lavorato col tempo perenne del Palio, con la Storia della Selva e di Siena: il mondo che percepisce e ci comunica è in stretta relazione con gli elementi che popolano il mondo della Contrada della Selva.
Ha saputo affondare le mani nella materia perenne su cui ha sempre lievitato l’arte: i sentimenti veri dell’umanità. Quasi senza sforzo, spontaneamente, egli sa comunicarci un’impressione meravigliosamente forte della storia particolare ed insieme universale dell’uomo.
Un messaggio di amore e di orgoglio, quello della Contrada della Selva, per la propria tradizione e per onorare la vittoria a cui lo scultore ha dato voce senza nulla di fuorviante, ma nel contesto di una forza prorompente. La scintilla del tema vittorioso della Selva ha animato Penko a coniugare, in una energica sintesi, la sua lunga esperienza espressiva di orefice con il linguaggio della scultura. Ha così potuto offrire una chiara testimonianza di come sia possibile il dialogo fra la grande storia, che sempre si rinnova a Siena, e l’arte, in una progressione che non ha confini terreni.
* Contrada della Selva: stemma: un rinoceronte al naturale passante al piede di una quercia fogliata al cui tronco figurano trofei di caccia; colori: il verde e l’arancio listati di bianco; motto: “Prima Selvalta in Campo”.
Testo critico di Anita Valentini