Il Sigillo della Pace
Paolo Penko riproduce il Sigillo della Pace di Firenze
Dopo secoli di oblio è stato ritrovato, riconiato e rilanciato per trasmettere a tutto il mondo il suo messaggio di libertà e di pace, più attuale che mai, quello che fu il sigillo del Comune di Firenze dal 1429 al 1530, gli ultimi 100 anni in cui la città del Giglio visse la sua gloriosa indipendenza prima di cedere, dopo un lungo assedio, ai Medici e trasformarsi da libero Comune a Signoria.
Il sigillo, adottato negli ultimi tempi dai decemviri di pace e libertà come estremo messaggio in difesa delle istituzioni repubblicane e scomparso per sempre dai documenti di governo dopo la fine della Repubblica, è stato scoperto durante ricerche nell’ archivio di un’antichissima famiglia fiorentina – la famiglia Guadagni – da un consigliere comunale, l’avvocato Anton Luigi Aiazzi, appassionato studioso della storia di Firenze.
Il sigillo appariva su un documento che contiene un provvedimento del governo del 4 agosto 1505. Il sigillo, usato per autentificare gli atti pubblici, presenta una colomba ad ali aperte con in bocca un ramo di ulivo e tra le zampe un altro ramoscello della stessa pianta, tradizionalmente da sempre simbolo di pace. Attorno la leggenda S. PAX ET DEFENSIO LIBERTATIS (SACRA O SANTA PACE E DIFESA DELLA LIBERTA’).
Data l’attualità universale del messaggio l’avvocato Aiazzi ha subito proposto al Comune di rilanciare, restituendogli la funzione di messaggio del Comune di Firenze, i alternativa o in abbinamento al Fiorino d’oro, questo glorioso simbolo, attraverso il quale il Comune fiorentino già 500 anni fa riaffermava valori ai quali sono pur sempre rivolte le speranze dei popoli di ogni parte della terra.
Proposta subito accolta dal sindaco Giorgio Morales, che ha fatto riconiare il sigillo, in metallo prezioso da un’antica bottega artigiana della città a cura di un maestro di arte orafa, Paolo Penko, per farne un messaggio testimoniale.
La realizzazione è avvenuta attraverso la fusione a cera persa: il sigillo è stato lavorato a mano ed inciso a bulino secondo la migliore tradizione orafa fiorentina. Con questa iniziativa – ha detto il sindaco – Firenze intende rendere testimonianza alla continuità del suo impegno come città operatrice di pace e banditrice dei valori di libertà. Il simbolo sarà offerto a quelle personalità della politica e della cultura che abbiano contribuito con il loro impegno, in ogni luogo, all’affermazione di questi due grandi valori.
Proprio nel corso della sua recente visita negli USA, Morales ha consegnato una prima copia del sigillo al sindaco di New York, Giuliani. Un’altra copia è stata offerta a Gorbaciov in occasione della sua visita in Italia.
Un esemplare del sigillo risulta presente al Museo nazionale del Bargello, che, com’è noto, conserva una ricca collezione di sigilli civili, privati e religiosi. Particolarmente interessante appare un gruppo di nove oggetti di pari argomento, ovvero una colomba levata in volo che reca un rametto d’olivo.
Al numero 509 è inventariato un esemplare che reca il motto PAX ET DEFENSIO LIBERTATIS circoscritto ad un periodo limitato e peraltro non ripetuto nella produzione seguente, che copre un periodo compreso tra il XV e il XVII secolo. La generica dicitura PACIS ET FINIUM TUTELA appare infatti impiegata durante il Principato mediceo come simbolo esteriore di una magistratura ormai doma alle esigenze del potere oligarchico. Il sigillo 509 era espressione dei “Conservatori di Legge di Firenze”, magistratura repubblicana istituita nel 1429 e inizialmente destinata a vigilare sul giuramento di pace interna, oltre alla regolarità dell’azione amministrativa.
In breve tempo la primitiva funzione si trasforma in un controllo degli amministratori stessi, fino a divenire garante delle norme di diritto pubblico e organo di giudizio per i delitti contro lo Stato. Nelle fasi finali della Repubblica tale ufficio giunge anche a tutelare l’ortodossia giuridica dello Stato, trasformandosi durante il Granducato in una semplice verifica burocratica. La magistratura dei Conservatori si si converte in epoca lorenese i Ufficio dei Censori, pur conservando l’antica immagine simbolica.
Tale figura viene momentaneamente abbandonata nei primi anni del Ducato e sostituita con una icona generica della Giustizia (raffigurata con gli strumenti tradizionali), recuperando in seguito la consueta colomba, accompagnata tuttavia da un motto meno liberatorio. Analoga metamorfosi di contenuti si può riscontare anche nel famoso sigillo repubblicano di Ercole che l’iconografia cosimiana trasforma in “Ercole e Anteo”, ovvero la Forza che annienta l’irrazionalità.
L’esemplare in oggetto si lega principalmente agli indirizzi politici della prima cancelleria “piagnona”, insediatasi ai vertici dello stato nel 1498. Rileva infatti Domenico Marzi che tale governo “doveva cercar la giustizia, la pace […] con leggi ben ordinate, in modo che si ottenesse il bene di tutti”.
In tale periodo ha inizio la carriera di Machiavelli all’interno degli organi repubblicani come Segretario, delegato talvolta a compiere impegnative missioni all’estero. Il chiaro messaggio del sigillo si deve probabilmente al diretto influsso del grande uomo politico, anima pensante della Cancelleria Fiorentina in questo scorcio del Cinquecento: il concetto di Libertà associata all’energia per difenderla appare infatti centrale nella stesura del “Principe” ed evoca l’eloquente esortazione di Machiavelli: “i popoli per conservare la libertà devono tenervi sopra le mani”. Concetto sul quale il segretario della Repubblica Fiorentina tornerà spesso nel corso del suo impegno politico, come è testimoniato dal testo inedito di un discorso da lui tenuto davanti ai “Signori di Balia”, che concludeva con queste parole: “Fiorentini liberi, essere nelle vostre la vostra libertà, alla quale io credo che voi avrete quel rispetto che ha avuto sempre chi è nato libero e desidera viver libero”.
Il trionfale ingresso di Giovanni de’ Medici vanifica tuttavia nel 1512 il processo politico del periodo precedente, fino alla marcata svolta oligarchica che si risolve nel 1527 con il nuovo esilio della famiglia ed il ripristino delle garanzie democratiche più ampie. In tale anelito di continuità la Repubblica ripropone il motto PAX ET DEFENSIO LIBERTATIS che viene definitivamente abbandonato nel 1530 con la resa della città e delle istituzioni.
Il sigillo viene tuttavia donato al senatore Carlo Strozzi e raccolto in una vasta collezione comprendente numerosi simboli delle antiche istituzioni e della famiglia regnante. L’ordinamento dell’eccezionale materiale secondo criteri scientifici si deve tuttavia a Domanico Maria Manni che redige nel 1733 un esauriente catalogo. Inventariato al numero 150, l’esemplare in oggetto passa successivamente in mano a Tommaso Gherardi e quindi nei fondi del Bargello a partire dal 1872, dove viene classificato da Pellegrino Tonini e Umberto Rossi. Gli ordinatori del museo si affiancano dunque al singolare erudito settecentesco come fondamentali pionieri della sfragistica.
In bronzo, il sigillo presenta un rocchetto forato alto 65 mm. che sostiene agli estremi il tipario in oggetto di forma circolare e del diametro di 45 mm. Il motto S. PAX ET DEFENSIO LIBERTATIS è delimitato all’interno e all’esterno da un filetto perlinato. All’altra estremità si trova il controsigillo per ceralacca dal diametro di 25mm. e di fattura più modesta. Un esemplare analogo risulta catalogato nel museo romano di Palazzo Venezia.
Nessun commento a questa scoperta può essere più incisivo di quel frammento di Eraclito che dice: “Combattere deve il popolo per salvare la legge come per difendere le mura della Città”.
Testo di Giancarlo Bianchi in Cronaca Numismatica n. 60